IL SUONO DI TARTINI / TARTINIJEV ZVOK

Giuseppe Tartini: quanto viene eseguito oggi? Come mai il “Maestro delle Nazioni”, come l’astronomo De Lalande lo definì nel 1769, è oggi così poco conosciuto e le sue musiche così poco eseguite rispetto alla fama e alla diffusione che godette in vita? La circolazione internazionale delle sue composizioni, l’influenza su altri compositori, l’originalità della produzione della cerchia di musicisti padovani legati alla Basilica del Santo (Vallotti, Callegari, Vandini, Bissoli, Guadagni....) presso cui Tartini fu “capo dei concerti” dal 1721, il contatto epistolare e personale con musicisti e uomini di cultura e intellettuali coevi ne fecero un personaggio di spicco del mondo europeo settecentesco. A dispetto della fama, però, uno studio sistematico della sua produzione e soprattutto una valorizzazione rispettosa della sua opera compositiva, anche sul fronte esecutivo, sono oggi ancora lacunosi. Meraviglia la scarsa presenza delle sue musiche nelle sale da concerto anche perché, a differenza di compositori come Vivaldi, il nome di Tartini non è stato dimenticato dopo la morte. Nell’aureola di leggenda e nell’alone di aneddoti che si vennero formando nell’Ottocento attorno alla sua personalità e alle sue vicende biografiche, però, si perse di vista il lato più significativo della sua produzione musicale e del suo insegnamento. A questi aspetti si sovrapposero altre operazioni di fine Ottocento, come le celebrazioni patriottiche in occasione dell’anniversario della nascita e l’inaugurazione del monumento a Tartini nella piazza di Pirano, sebbene è sulla scorta di questi eventi che inizia la raccolta di documentazione e la ripresa degli studi storiografici sulla sua vita. Qualche accenno alla sua produzione musicale compare nel primo Novecento in trascrizioni e rielaborazioni come la Pastorale di Ottorino Respighi o le due composizioni denominate Tartiniana di Luigi Dallapiccola, ma il nome del Maestro rimane in vita senza riprendere l’esecuzione della sua musica fino a Novecento inoltrato. Eppure il mondo musicale di Tartini ebbe varie e importanti sfaccettature. I contemporanei riconoscevano l’omogeneità di ideali stilistici e di gusto interpretativo della sua cerchia. Inoltre i suoi principi compositivi, in cui la costruzione della linea melodica è concepita come un discorso, anticipano l’articolazione per frasi (evidente soprattutto nelle sonate a quattro dell’ultimo periodo) che sarà alla base della scrittura classica di Haydn eMozart. Anche la meravigliosa cantabilità dei tempi lenti delle composizioni di Tartini, elogiata dai contemporanei, che pure aprirà la strada al modello strumentale italiano incarnato nelle composizioni di Paganini, non basterà a conservarlo in repertorio. Semplificando i problemi potremmo chiederci: perché oggi suoniamo i concerti di Vivaldi e non quelli di Tartini? Forse per contingenze fortuite e storiche, senz’altro per la capillare opera editoriale operata da grandi case editrici delle composizioni del primo, ma anche perché lo stile vivaldiano è certamente più semplice, comunicativo e immediato rispetto al pensiero musicale raffinato e complesso di Tartini. Forse anche perché, nella riscoperta della musica strumentale del “prete Rosso”, operata a partire dai primi decenni del XX secolo, i caratteri della sua scrittura erano funzionali alla rivalorizzazione della IL SUONO DI TARTINI

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